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MAX BECKMANN A ROMA

 
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Nella Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma si sta svolgendo una mostra dell'opera dell'artista tedesco Max Beckmann che visse nella prima metà del nostro secolo tra la Germania, la Francia, l'Olanda e gli Stati Uniti dove morì nel dicembre del 1950. Egli si considerava come un viaggiatore(frequenti furono i suoi viaggi anche in Italia), nei suoi diari citava spesso Omero ed infatti vedeva la propria vita come un'Odissea.
Questa esposizione, che contiene un centinaio di opere tra dipinti, disegni e sculture, rappresenta un' importante occasione per ricordare la figura di un artista che segnò significativamente lo sviluppo dell'arte europea con tutte le sue complessità e molteplicità sia tematiche che pittoriche.
L'arte di Beckmann è nota al grande pubblico soprattutto per la sua convinta adesione al movimento artistico della "Neue Sachlichkeit" (Nuova Oggettività) che si sviluppò in Germania nel 1925 e di cui sarà uno dei più originali interpreti insieme a George Grosz e Otto Dix. La peculiarietà di questa mostra sta nel permettere al visitatore di comprendere tutto l'excursus artistico del pittore, che ha saputo fin dall'inizio della sua opera rappresentare con grande originalità lo scopo dell'arte come conoscenza.
Si tratta di un concetto essenziale, presente fino agli ultmi quadri, ma per questo stesso tema di fondo vi saranno diverse modalità e stili, diversi contenuti e linguaggi per rafforzare e completare sempre più una costante tensione verso il desiderio del conoscere.
In una conferenza tenutasi a Londra nel 1938 in occasione della "Exhibition of 20th Century German Art" organizzata contro la mostra voluta da Hither l'anno prima sulla "Arte Degenerata", Beckmann dice "...Questo ego, questo io, non sappiamo cos'è, allora lo dobbiamo penetrare fino in fondo per scoprirlo, perchè è l'io il grande mistero non svelato dell'essere".
Max Beckman nasce a Lipsia nel 1884 da una famiglia di commercianti.L'angusto ambiente piccolo borghese da cui proviene è rappresentato nelle opere del periodo iniziale dove è chiara l'influenza degli ambienti della Secessione Berlinese. Di questo periodo vi è il primo di una lunghissima serie di autoritratti (dopo Rembrandt che per altro Beckmann ammirava molto, egli è l'artista che compose più ritratti), si tratta di "Autoritratto, Firenze" (1907). 

L'artista si ritrae vestito elegantemente ed esprime una dimensione esistenziale non ancora toccata dalle tragicità della guerra che caratterizzerà la sua vita negli anni seguenti; lo sguardo è ancora limpido in attesa di un futuro tutto da scoprire; la natura posta come sfondo, trattata con pennellate espressioniste, dai colori chiari, rappresenta una quiete che non tarderà a finire.
Ponendo a confronto questo autoritratto con un'altro del 1915 "Autoritratto come infermiere" si comprende come le grandi ferite, espressioni di dolore, abbiano così radicalmente stravolto l'uomo-artista Beckmann; i suoi quadri di questo periodo sono infatti un disperato grido di protesta. Scriveva nel suo diario:"...Nei miei quadri rimprovero Dio per quello che ha sbagliato". Nello stesso anno la sua esperienza come infermiere di guerra si concluderà; congedato per un grave esaurimento psicofisico e ritornerà alla pittura per capire, analizzare, forse rispondere con la forza della pennellata alle tante infinite domande che ci si pone di fronte alle atrocità dell'uomo contro l'uomo.
Il tema dello spazio come teatro dell'essere è una delle componenti più determinanti dell' opera di questo artista. Quasi una espressione così emblematicamente carica di contenuto, da dissacrare l'angoscia di morte, il senso di disperazione causata dall'aver visto con i propri occhi la guerra con i suoi incomprensibili morti e feriti. La realtà negli anni successivi la guerra è rappresentata attraverso l'allegoria, il sarcasmo, il senso del grottesco, quante maschere inutili per coprire la desolazione, la solitudine dell'uomo, la ricerca seppur disperata di un proprio sè, eppure la maschera è anche l'ultima difesa, in un mondo dove più si è scoperti e più si soffre. 
 

Questi temi sono tutti evidenti nelle opere come "Martedi Grasso"(1920) e "Doppio ritratto di Carnevale, Max Bekmann e Quappi"(1925);ma il 
motivo del "mondo rovesciato"del Carnevale è in fondo un modo per trasformare la paura in un teatro dell'assurdo, dove gli oggetti, i significati, le illusioni, i timori sono tutti mescolati tra loro, ad unirli sarà solo una comune e profondissima malinconia, la stessa malinconia che gli fa scrivere nel suo diario qualche anno più tardi:"...Sono nato forse solo per essere testimone della mia impotenza...".
La città vista come luogo asettico, habitat "ideale" per questa malinconia viene narrata nel notissimo quadro "Il ponte di ferro"(1922). Sono molte le vedute che rappresentano il motivo urbano di Francoforte. I colori sono ricchi di contrasti,non vi sono sfumature, le forme architettoniche sono stilizzate come case-giocattolo, sembra quasi che questo paesaggio urbano sia stato colto nel mondo onirico, un incubo, una rappresentazione del luogo dell'assurdo.
Da questo periodo in poi molti quadri hanno spesso un taglio verticale, imponendo così una dimensione spaziale claustrofobica in cui i corpi, le maschere, le divise dei soldati e tutti gli oggetti-simboli sono compressi nella tela. Il quadro "Galleria Umberto" (1925) colpisce oltre che per le tematiche finora citate anche perché Beckmann, nel rappresentare un'immagine appunto " compressa" dell'Italia, esprime quella che secondo alcuni critici sarebbe una vera e propria profezia della tragica fine del fascismo: infatti, vedendo in questo quadro una figura-fantoccio legato ai piedi e con la testa in giù, come non pensare alla morte di Mussolini che avvenne solo due decenni dopo? 
Gli anni che vivrà ad Amsterdam come esiliato, saranno vissuti con grande drammaticità da Beckmann; il suo studio si trovava in un magazzino di tabacco dove egli in grande solitudine, insieme alla sua seconda moglie Quappi, conduceva una vita assolutamente intensa sul piano della creazione pittorica. Commoventi sono alcuni passaggi del suo diario in cui racconta di bombardamenti continui, cui però corrisponde un'altrettanta continuità dell'azione creativa come se questa fosse l'unica condizione di difesa, l'unica risposta possibile:alla pulsione di morte dei bombardamenti, la pulsione di vita della pittura. Scrive così in quegli anni:"...Il mio credo è una mano dipinta o disegnata, un viso sorridente o piangente, tutto quello che ha un senso nella vita qui lo si può trovare".L'uomo ricerca se stesso attraverso l'uomo che ha di fronte, che ritrae; cosi l'uomo che cade nell'abisso rappresentato nel quadro "L'uomo che cade" (1950 stesso anno della sua morte) è infondo l'ultimo viaggio, uno dei tanti, che il viaggiatore-artista Beckmann compie verso la conoscenza dell'ignoto.

Maria Anna Tomassini
 


 


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