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british waves
de-composition

 
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Finalmente!!! qualcosa da vedere nella capitale dalla fotoartgrafia europea. Mi riferisco alla rassegna espositiva dedicata alla nuova (?) scena inglese, o meglio agli artisti delle nuove leve, che qui associa molteplici forme di arte visive: dal cinema/tv alle istallazioni teatrali passando, guarda un po', per la fotografia. Si proprio la fotografia, questa forma di comunicazione che troppo spesso, ormai, è confusa con esperimenti di dubbio valore artistico e comunicativo, che, poi, alla fotografia stanno come una Fiat sta ad un Ferrari. Comunque, la sezione fotografica della mostra ci presenta il lavoro di diversi artisti contemporanei sulla scena inglese che rispettano appieno i "limiti" imposti dalla tecnica fotografica senza però diminuire l'effetto comunicativo ed artistico che la disciplina richiede. Interessante discorso proposto è il tentare di esternare il carattere menzognero della fotografia, non più intesa come riproduzione della realtà, bensì come rappresentazione della stessa. Restando valido l'assunto che il fotografo deve avere un rapporto diretto con il soggetto, la rappresentazione che fanno dei loro soggetti gli artisti inglesi presenti alla mostra è un'operazione simile a quella fatta da molti pittori contemporanei, reinventare il soggetto di per sé squallido e quotidiano, elevandolo alla condizione di oggetto d'arte. E' questo il caso degli scarti della macelleria fotografati da Helen Chadwick, con una perfezione fotografica da still-life pubblicitario, oppure dei fazzoletti di carta colorata rappresentati da Tim Head, accompagnati da titoli espressamente post-industriali, oppure dei paesaggi tipicamente "britannic middle class " re-interpretati da Lea Andrews con una sorta di magia introspettiva. Il titolo, De-Composition, non è la rappresentazione grafica di un linguaggio negroide, bensì la volontà di puntualizzare l'interesse che nella scena britannica si prova per la costruzione della composizione nel campo inquadrato, unitamente ad un discorso destrutturante concepito nella scelta dei soggetti stessi; insomma, un'operazione estetico concettuale che , ve ne sarete accorti, ormai diventa raro vedere. I soggetti sono molteplici, si spazia dalla rappresentazione religiosa fino ad arrivare alla documentazione, improbabile ,dei quartieri periferici londinesi. Le opere tutte figlie degli anni ottanta ci si presentano come degli enormi cibacrome, stampati alla perfezione, che, già questa caratteristica , produce nell'amante della fotografia una sorta di batticuore dimenticato. Insomma , non lo dico per facile entusiasmo, ma finalmente (!!!) una mostra da vedere in una città dove la fotografia si diffonde come inquinamento del nome a favore del pressappochismo degli autori e dei critici/produttori.


lon d. cheapside

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